15 luglio

Quando arriviamo al Keshtiella di Berat il peggio della giornata è andanto. Durante il viaggio il caldo ci ha assediato ed in macchina abbiamo accusato la fatica. I primi sintomi passano per la voce dell'Australiana ed hanno le parole e le melodie dei maledetti e dei rivoluzionari dello scorso secolo: Victor Jara, Paquita la del Barrio, Cristiano De André, Luigi Tenco. Malinconie e pensieri che in Albania, malgrado la forte pressione del mercato musicale italiano, non sono arrivate. Canta l'Australiana e tutti ne godiamo.
Con quel caldo e dopo due ore di villaggi, camion in sorpasso e strade disastrate, il Castello di Berat è un'oasi. Tutti qua si lasciano andare all'abbondanza. Fuori c'è una grande fontana bianca a cui gruppi di persone attaccano a turno delle taniche. Qualche passo più in là un ragazzo maneggia autorevolmente una grossa pompa con cui un po' irriga, un po' lava e un po' bagna chi lo desidera. Scesi dalla macchina l'Australiana, a scanso di equivoci, si fa riempire una tanica enorme, poi mette in tasca ad un assistente del giardiniere cinque lek affinché gliela custodisca mentre ci rifocilliamo. Dentro non me lo ricordo, ma ricordo grandi piatti di carne e insalata che il cameriere continua a portare ai tavoli.

Dopo un'ora abbondante torniamo in macchina. L'Australiana aggiunge altri cinque lek alla mancia e si fa cambiare l'acqua nella grande boccia di plastica, poi si siede al posto del passeggero e si appoggia la boccia fra le gambe.
Da quel momento la giornata è in discesa: per la strada ci imbattiamo solo in piacevoli sorprese. Il primo incontro è la conferma del presagio che avevamo appena accennato. In questa storia non fare la sua apparizione Fitzcarraldo. Nel mezzo di nulla, a qualche chilometro da un paesino sulla strada poco battuta per Fier troviamo un grande edificio nave. Ne ho visti altri altrove, ne ricordo almeno sulla statale che da Modena sale verso Verona e poi il ristorante negli aerei fra Verona e Rovigo, però questa è grandiosa, dispersa, lucida e pronta al varo. Manca solo qualche colpo di pennello e la bottiglia di champagne. 'Libertà, libertà', ripete l'Australiana. La barca in questo momento è un concentrato di straordinarietà ed erranza fantastica, ma se fossi arrivato qua e mi avessero presentato un menù mi sarei sentito chiudere lo stomaco, un po' come quando lavoro e non mi pagano... infatti, che moralismi del cazzo: libertà, libertà.
Le colline qua intorno sono dolci e belle. Su due colli attigui, due fratelli di ritorno da un'esperienza come immigrati in Grecia hanno costruito due castelli. Con la pace del paesaggio anche le loro bizzarrie si sono calmate. I nomi Akropolis e Rustica Kala tradiscono ancora una volta l'ispirazione antica, ma le architetture sono lontane dalle stereotipizzazioni di merletti, mastio e bifore. Forse è tutto merito della marijuana che ci dicono essere coltivata con buona regolarità e organizzazione nei campi della zona. Il relax e il piacere la fanno veramente da padroni. Ci facciamo qualche ritratto con le macchine fotografiche. Quando rientriamo in auto il sole ormai stanco. L'idea di visitare una galleria d'arte cinquanta chilometri più a sud viene lasciata cadere, torniamo verso Tirana con una strada a scorrimento veloce. Prima di arrivare c'è tempo per vedere un castello in costruzione abbandonato e custodito da due grandi ulivi e comperare della frutta vicino al castello Castello, un bar-castello che un italiano accoltellatore – così ci racconta il fruttivendolo – ha costruito ai bordi di una rotonda.

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