Dell'iperbole e del soggetto. Alcune considerazioni insolite su Hélio Oiticica e Lygia Clark.
Nel 2006 Claire Bishop ha raccolto per la Whitechapel Gallery una serie di scritti sulle pratiche artistiche relazionali. Participation, questo il titolo del libro, contiene testimonianze di teorici, critici, artisti e curatori, fra cui due pezzi di Helio Oiticica. Così recita l'incipit del primo, Dance in my experience: “Before anything else I need to clarify my interest in dance, in rhythm, which in my particular case came from a vital necessity for disentellectualization. Such intellectual disinhibition, a necessary free expression, was required since I felt threatened by an excessively intellectual expression”. La posizione dionisiaca dell'artista brasiliano è piuttosto chiara e si allinea alle precedenti chiamate della storia della cultura verso corrispettivi irrazionali. La negazione del valore contemplativo si traduce nella teorizzazione del total act of life: l'esperienza corporea e mentale dell'opera d'arte, la qualità della performance anche a scapito della pregnanza del contenuto, il ritmo e la trasformabilità in contrapposizione all'eternità: “What is interesting here is the vocalization of Nat and the interpretative act of Marilyn, independent of the quality of the interpreted score or script, even if these posses, of course, a value that is relative and not abosolute as before”. Per dare forma concreta a questi presupposti Oiticica cerca di individuare degli strumenti. “It will be necessary to create environments for these works […] structural spaces that are free both to the partecipation and to the creative inventions of spectators. A pavilion, one of those used these days for industrial exhibitions would be ideal for such a purpose – it would be an opportunity for a truly efficient experience with the people, throwing them into the creative participatory notion, away from the elite exhibitions so fashionable today”.
World's Columbian Exhibition, 1893, Chicago
La richiesta di un padiglione simile a quelli usati per le rassegne industriali in cui il pubblico può sentirsi libero, ha attirato la mia attenzione per la centralità che quel modello ha nella attuale pratica espositiva. Nota è la filiazione dalle grandi esposizioni universali alle grandi biennali artistiche. La prima per convenzione, la Biennale di Venezia, ricalca con i padiglioni nazionali proprio quel modello. A fine '800 il concetto di grande mostra passa dalla scala locale dei salon, alla scala internazionale dei grandi eventi pluriennali con una moltiplicazione di attenzione e pubblico. Le esposizioni internazionali, soprattutto quelle tecnologiche, sono eventi in grado di catalizzare l'entusiasmo occidentale per il progresso. Attorno a quella propulsione architetti, organizzatori e curatori per primi coniugano l'istinto esplorativo del pubblico, ai nuovi modelli di consumo suggeriti dai passage e fondati su sicurezza, libertà di movimento e qualità. Se facciamo un salto temporale neanche troppo ampio ci accorgiamo che gli stessi tre ingredienti sono oggi le ragioni del successo commerciale delle grandi catene di distribuzione internazionali. La possibilità di sentirsi sicuro, libero di muoversi all'interno di uno spazio protetto e la garanzia industriale del prodotto sono i cardini su cui il commercio pubblico ha costruito negli ultimi 150 anni la sua fortuna economica. Un'attenzione di riguardo va poi posta alla dimensione performativa del consumo. Il girovagare sinestetico dei fine settimana nei centri storici o in quelli commerciali, ha anch'esso molto a che vedere con una dimensione dionisiaca.

Turbine Hall, Tate Modern
Le forze in cui Oiticica riponeva le sue speranze rivoluzionarie sono migrate verso lidi più sicuri. La marginalità del soggetto è diventata centrale al sistema dell'economia . Dal mondo della distribuzione il modello è stato travasato in quello della distribuzione culturale. L'ampliamento dei volumi, l'occupazione o l'imitazione di spazi industriali, l'impennata qualitativa delle opere d'arte, l'accento performativo, il linguaggio pubblicitario sono elementi che lasciano intravedere alcune fra le possibili coniugazioni. Il fatto all'interno di questo ragionamento non va oltre la constatazione e non toglie nulla alla bellezza dei lavori di Oiticica. Probabilmente li rinarra alla luce di un entusiasmo ormai scolorito. Forse restituisce a loro una forma di equilibrio. L'impossibilità e anche la non necessità di sfuggire da un movimento (destino?) più ampio.

Bookshop, Documenta X
La seconda testimonianza pubblicata in Participation è lo scambio fra Hélio Oiticica e Lygia Clark.
L'epistolario è finalizzato ad un simposio in cui Oiticica si farà portavoce della nuova scena artistica brasiliana e dunque anche del lavoro della Clark. Quest'ultima sembra poco interessata ad un resoconto generale che istituzionalizzi un movimento (quello che si chiamerà poi Tropicalismo) e nei due scritti pubblicati richiama seppur indirettamente l'amico-collega ad una maggiore attenzione all'universo che lei intende evocare per il suo lavoro e, forse, ad una più profonda concretezza nell'analisi dei fatti della vita e dell'arte. “Dearest HèliCaetaGério, […] Since Caminhando the object for me has lost its significance, and if I still use it, it is so that it becomes a mediator for partecipation. With the sensorial gloves, for exaple, it gives the measure of the act and the miraculous character of the gesture, with its spontaneity, which seems to have been forgotten. In all that I do, there really is the necessity of the human body, so that it expresses itself or is revealed as in a first [primary] experience. La zona collettiva e dionisiaca si riduce ad una esperienza più intima e cosciente. L'attivismo militante dell'uno fa fatica a rispecchiarsi nella passività riflessiva dell'altro: Mario's [Pedrosa] term, as always is excellent, but for me it is not about the moment of chance but the fruit of the moment. Fruit in the fruit sense, such is the flavour and the sensuality of eating, of living this moment”.
L'epistolario continua. Alla ricerca di una sintesi e una caratterizzazione Oiticica dice: “I believe that our great innovation is precisely the form of participation, that is, its meaning, whic is where we differ from what is proposed in super-civilezed Europe or in the USA... Lygia Clark: “As far as the idea of participation is concerned, as always there are weak artists who cannot really express themselves through thought, so instead they illustrate the issue. For me this issue indeed exist and is very important. As you say, it i exactly the relation in itself that makes it alive and important. […] But it is not participation for participation's sake and it is not a fact of saying, like Le Parc's group does, that art is an issue for the bourgeoisie. It would be too simple and too linear. There is no dept in this simplicity and nothing is truly linear. They negate precisely what is important: thought.” L'insistenza sul valore del pensiero è rivolta a quella della profondità. Ciò che più sta a cuore alla Clark non è contrastare gli eccessi di intellettualismo o le rigidità di un sistema. Il suo è sguardo è concentrato sulle ambizioni umanistiche della sua pratica.

Máscara sensoria, Lygia Clark
“More and more Pedrosa's sentence functions for my work: 'man as the object of himself'.As you see, participation is increasingly greater. There no longer is the object to express any concept but the spectator who reaches, more and more profoundly, his own self”. La ricerca si spinge oltre. Qualche pagina prima Oiticica aveva introdotto la questione di Caetano Veloso screditando l'idolatria contemporanea del pubblico verso alcune star mediatiche. La risposta della Clark parte dallo stesso lamento ma si sposta verso una visione del soggetto che è tale solo quando privo del possedimento di se stesso: “As far as Caetano's problem is concerned, it is different since he is affected as a person but is an idol; he is the opposite of myself, who no longer possesses anything, not even as a creative artist who provides what is still a total oeuvre that in the end is my self”.
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