Alcune domande sullo Spettatore

Un paio di giorni fa, Barbara Schiavulli e Paolo Woods hanno raccontato a Rovereto le loro esperienze di giornalisti e fotografi freelance. Sono due avventurosi. Con molta paura e altrettanto coraggio sono spesso alle prese con le guerre del mondo o con indagini di grande scala e scarsa rilevanza mediatica. Hanno accennato dei cinesi in Africa, gli africani in Cina, i cicli del petrolio o ancora il terromoto ad Haiti e ovviamente le due guerre in cui siamo implicati: l'Iraq e l'Afganistan. A chiacchierare con i due c'era Lucio Caracciolo, direttore di Limes e grande esperto di geopolitica.



Il ritornello concettuale del pensiero di Caraccio, la base su cui faceva leva per spiegare le attuali strategie di politica internazionale contemporanea, era incentrato sul rapporto fra visibilità e presenza. Ad un certo punto l'ha espresso lui stesso, proprio mentre si parlava dei cinesi in Africa. I cinesi in Africa, ma anche altrove, sono molto presenti e poco visibili.
24 ore prima io li avevo visti, o meglio, alcuni, maldestramente vestiti da giapponesi o tailandesi, mi avevano servito al tavolo. Da quella serata ne ero uscito con il gusto dell'olio di palma sulle labbra, qualche euro in meno e un assioma. “Niente è cinese e non c'è nulla che non lo sia”. Da questa prospettiva, che esclude le lanterne rosse, le bacchette, la erre, l'atteggiamento superiore degli avventori, gli sfottò, ma include i molti bar, le pizzerie, i ristoranti giapponesi, vietnamiti, tailandesi, la cucina mediterranea, dicevo, da questa prospettiva che è poi quella delle mie scarpe e probabilmente dell'80% dei miei consumi, i cinesi sono l'avanguardia della globalizzazione. Certo anche Mc Donalds ci prova. Ora che ci sono i mondiali di calcio regala bandierine tedesche ai tedeschi, italiane agli italiani e giapponesi ai giapponesi. Ma i mondiali sono il museo della nazione, uno degli ultimi palchi del corpo occidentale. Mentre noi giochiamo a Johannesburg e preghiamo gli dei affinché accolgano nell'Olimpo i nostri campioni, i cinesi lavorano in Africa. Qualcuno dovrà pur lavorare, no? Infatti pare che nessuno si lamenti apertamente.



Barbara Schiavulli, ha incominciato a lavorare per il Gazzettino di Venezia, poi è partita per la Palestina e lì ha aperto la sua carriera di giornalista di guerra. Ora è freelance, durante la conferenza ha manifestato più volte la volontà di ottenere il contratto che i giornali le negano. Paolo Woods invece non si è lamentato per le proprie finanze. Forse, come si dice in questi casi, è ricco di famiglia. Io mi sono sentito vicino ad entrambi, vuoi perché non ho un'entrata fissa o perché, malgrado non sia ricco, non mi pongo problemi di denaro. Ben altre erano le mie invidie. Mentre parlavano di guerra, grandi capitali, materie prime, politiche internazionali, mi saliva la voglia di prendere e partire. C'era in quelle ricerche l'adrenalina del senso. Ma quale? Quell'esperienza che invidio loro, che cos'è se non una forma di estremizzazione della posizione dello spettatore? Lungo il filo dei collegamenti, dunque qual'è il valore originario e finale della ricerca? La positività sociale che la parola si porta appresso a quale vertigine si richiama?

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