15 luglio

Il Principe con un sorriso che legittima il dubbio, ripete spesso che siamo qua per inaugurare un percorso turistico che sarà. Seppur le preveggenze siano piuttosto diffuse ai nostri giorni, la sua intuizione è allineata con l'ambizione dei nuovi conti, baroni e cavalieri che hanno costruito e stanno costruendo i loro castelli in omaggio alla pietra e all'eternità. Ben, il proprietario del castello Konti ha pensato anche all'ospitalità. Il suo castello sulla vecchia via Nazionale che da Tirana porta verso sud, per 40 euro offre agli ospiti un letto caldo d'inverno e fresco d'estate ed un pasto al giorno. Dovreste vederlo il Castello Konti. Fra tutti quelli che abbiamo visitato è il più disegnato e decisamente il peggiore. Con lui ho un'inimicizia da primo incontro. Entraci è intraprendere un viaggio in un rendering: è come se l'architetto avesse preso la foto di un castello da google, ne avesse ripassato attentamente i contorni e l'avesse rimpicciolita orizzontalmente, per poi correggerne le proporzioni sino a renderle accettabili ad un occhio distratto.
Al primo sguardo l'impressione è quella di trovarsi di fronte ad un castello vero e proprio, ma la dimensione tradisce la retorica: quella torre tonda e merlettata dovrebbe governare un'altura e tenere alla larga eventuali aggressori, invece quando il Principe ci si mette difronte per lo scatto, mi accorgo che basterebbe montargli sulle spalle per raggiungere la stanza della principessa. Anche il cancello è ornato per fare onore ad una carrozza, ma se nel superarlo si incontra un'Apecar bisogna stringersi contro i pilastri.
Il Castello Konti assomiglia un po' alle nostre case: tre stanze, due bagni e soggiorno alla modica cifra di qualche centinaia di migliaia di euro e poi rendersi conto che per mettere due comodini di fianco al letto, bisogna condividerne uno con il vicino. A che serve più grande?! dice il catalogo Ikea. Ed hanno ragione. La loro progettazione è una sorta di ammortizzatore nella sfasatura che si è creata fra ritmo, comfort e sicurezza.

Già perché se dal racconto passiamo alla riflessione astratta, allora dovrebbe essere chiaro che fra i tre elementi il rapporto deve essere sindacalmente corretto, altrimenti è sfruttamento. Il ritmo detta i tempi, è il padrone senza volto o se si preferisce una metafora meccanica 'l'ingranaggio', il comfort è la possibilità di stare nel ritmo, la sicurezza è garanzia di bontà rispetto all'azione, ossia ciò che certifica il valore. La Volvo finché produceva macchine per un paese fieramente equilibrato e socialista era una macchina sicura e lenta. La Polar andava piano perché prudentemente la filosofia del gruppo organica ad una cultura sapeva che accelerare avrebbe potuto significare mandare fuori asse il delicato rapporto. Nel 1999 la Volvo è passata nelle mani degli americani della Ford. Nel 2010 i cinesi della Geely, che non hanno una pagina su Wikipedia, fanno uno sforzo in nome della storia del socialismo e acquistano la gloriosa casa svedese per 1.8 miliardi di euro. Nel passaggio di mano precedente, lontano solo dieci anni, per il suo controllo si erano battuti anche gli italiani, famosi per fare o macchine veloci e delicate o macchine piccole, di buon brio, ma che continuano ad andare anche quando sono scassatissime. Cioè la peggior filosofia che si possa immaginare: un mondo che continua a mantenere il ritmo anche se le condizioni di comfort e sicurezza non sono accettabili: come dire... la storia della fondazione del malessere.

Questa è l'Albania oggi e quello è l'ammonimento piuttosto vicino che lancia ai paesi che non sono in grado di lavorare sugli equilibri. Di carri e carretti se ne vedono pochi, ma il 70% del parco auto è fatto di Mercedes che non si fermano mai. Anche la nostra malgrado i 40 gradi sembra essere scolpita nella pietra. Maledetta disciplina tedesca: i loro ingegneri sono dei muli ciechi, ma qualcuno avrà detto loro che stavano facendo una macchina per gli uomini e non una scultura alla tecnologia?

Pare che gli avi del proprietario del Keshtjella Konti fossero dei nobili al tempo di Skkk......, 'ma non saprei' dice il Ritrattista 'quel tipo mi sembrava un poco mafioso.... no?' Io mi associo volentieri all'infamia e proseguiamo per il prossimo castello. Dopo pochi chilometri incontriamo il Bujtina e Kuqe. Quando arriviamo noi sono circa le 11 e nei tavoli sotto alla tettoia una anziana coppia dall'animosità e dal gusto con cui parlano è facile indovinare che stanno discutendo animosamente della scelta di qualche loro conoscente. L'atmosfera è quotidiana e rilassata. Mentre il Principe e l'Australiana sono impegnati nelle foto, il Ritrattista ed io chiediamo del proprietario. 'Non c'è'. 'Chiedigli per cortesia perché ha voluto costruire un castello' 'Non lo sa'. Il cameriere è poco informato, ma capiamo che la costruzione è iniziata nel 1993 e che, quindi, con tutta probabilità, siamo di fronte ad uno dei primi segni dei Nuovi Castelli albanesi. Allora studiarne le forme è un po' come guardare all'origine di questo 'Movimento'.
Anche questo castello è dominato da una torre merlata, con quattro finestre rinascimentali per lato a partire da circa un metro da terra. Libero dalle pressioni della concorrenza e certamente dalle esigenze di resistenza agli attacchi armati propri delle costruzioni tonde, il proprietario non si è premurato della forma ed ha optato per una più semplice torre squadrata. Il che non inficia il ruolo simbolico e l'evidenza comunicativa dell'architettura. Quanto alla funzione, date le dimensioni, credo che serva per conservare le lattine di Coca Cola e i fusti della birra. Il fatto mi fa pensare ad un piccolo sogno. Vorrei disegnare una torre su un pannello di legno o costruirla con del cartone, mettere delle birre in frigo, qualche sdraio, un paio di palme e aprire anch'io un Bar-Castello nel giardino di casa per invitare qualche amico o vendere la birra al primo passante assetato, in omaggio a quel raggio di felicità che a fatica traspare da questo crudo e sinistro 'Rinascimento albanese'.

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