note sul curatore

pubblico di seguito il testo scritto a conclusione dell'incontro "che cos'è il contemporaneo" promosso dalla Fondazione March di Padova. Fra qualche mese dovrebbe uscire anche la versione cartacea edita, unitamente agli altri interventi, da Clueb. L'argomento è lo stesso che sto sviluppando ormai da qualche tempo e che risponde grosso modo alla domanda: quando il curatore appare nella storia dell'arte su quali dinamiche interviene e con quali apporti/variazioni?

Note sulle possibilità del curatore

Ultima idea dell'arte: Dino Formaggio

Dino Formaggio era solito iniziare il suo anno accademico con un preambolo che suonava più o meno così: “non chiedetemi cosa sia l'arte. Non saprò darvi una risposta. Però sin d'ora vi posso dire che è arte quell'insieme di oggetti legittimati come tali da un gruppo di persone”1.

Non ci sarebbe stata migliore introduzione per degli studenti al primo approccio con l'arte moderna2. Quella affermazione impone lo spartiacque ontologico della disciplina e ne insidia l'emblema: può essere facilmente letta così: da Duchamp3 in avanti è ormai chiaro che nessuno a fronte di una proclamazione, o di una autoproclamazione, può dire che questo o quell'oggetto non sia arte, qualcuno però può tentare di certificare la dichiarazione e legittimare la proclamazione. L'assioma non fa una piega e corrisponde al comporsi e scomporsi della storia dell'arte, ma resta aperta una domanda a cui gli storici hanno dato risposte solo parziali: come si organizza quel sistema nel corso della storia e con quali implicazioni? A partire da questa constatazione prende piede una ricerca di Storia sociale dell'arte. Per Che cos'è il contemporaneo? ne riporto una sintesi con il fine di sostenere delle preferenze sugli indirizzi delle pratiche curatoriali.

Prima idea dell'arte: Lawrence Wiener

Creative Time, una nota organizzazione di New York che si occupa di arte nello spazio pubblico, propone sul proprio sito web un video4 in cui Lawrence Wiener parla dell'arte in generale e del suo specifico lavoro. Dice Wiener: “l'arte è fatta da uomini per altri uomini, e molto spesso, al più semplice dei livelli, l'arte è quell'insieme di cose o oggetti che qualcuno sceglie di analizzare e presentare al mondo”. Poi ancora: “c'è una storiella che recita: la poesia e la letteratura nascono perché qualcuno vide un'opera d'arte e volle raccontarla a qualcun altro. Ma alla fine fare arte significa porre delle domande, non importa se su una tela o usando il linguaggio o usando la luce, si tratta sempre di domande che vengono poste”. Contrariamente a Dino Formaggio Lawrence Wiener imposta il suo discorso su una base estetica. La risposta alla domanda, che cos'è l'arte, riguarda l'esperienza stessa che fa scaturire il racconto dell'arte. Un racconto che esiste a priori e che, nella lettura di Wiener, ognuno (cioè ogni essere umano) attraverso le domande (cioè lo strumento che Wiener ritiene più adatto) può indagare e riportare.

Fuori traccia

Con questo punto di vista è possibile ottenere un ribaltamento critico rispetto all'opera dell'artista americano. Il peso scultoreo delle sue parole, cioè la cifra stilistica delle sue opere, va letto in veste di concetto o in forma di poesia? Il formalismo critico dominante rischia forse di isolare i gesti e i concetti nella geometricità concettuale? Isolare come levare, conservare, distinguere, salvaguardare....

I tempi lunghi della storia

Lo storico Fernand Braudel ha diviso la storiografia in tre grandi categorie temporali5. I tempi corti, i tempi medi e il tempi lunghi. La storiografia dei tempi lunghi ha la capacità di indagare movimenti di ampio respiro e di restituire una visione allargata e complessa degli intrecci e dei meccanismi che generano e vengono generati dalla storia. Per provare a dare una risposta alle domande poste in apertura del mio intervento faccio riferimento a questo modello storiografico. Lo sguardo cade sui meccanismi che hanno retto e reggono il ciclo produttivo dell'arte dai tempi di cui abbiamo memoria ad oggi. È un campo minato da sfumature e confronti con le fonti che qua per ragioni di spazio, non è possibile affrontare. Qualche passaggio sarà dunque dato per scontato e alcune specificazioni saranno omesse. Per queste mancanze rimando ad una ricerca a venire.

Alcune banalità

Il sistema dell'arte non è sempre stato così come lo conosciamo oggi. Come noto, sino al Rinascimento italiano le arti visive non appartenevano alle arti liberali e rientravano piuttosto nell'ambito delle arti meccaniche.

C'è un momento che possiamo istituire come soglia. È la pubblicazione da parte del Vasari delle note Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architetti italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri. Vasari raccoglie una eredità manualistica importante fra cui bisogna almeno citare il Della Pittura dell'Alberti, i Commentari del Ghiberti e il modello biografico già ampiamente sviluppato in campo letterario dai più importanti umanisti, ma le sue Vite hanno il merito di imporsi quale primo trattato in grado di disegnare uno sviluppo storiografico nell'arte. Altri hanno delineato le ragioni del successo del Vasari. Qui interessa quale spartiacque o se si preferisce emblema, di un nuovo modo - il modo moderno - di trattare l'artista e la sua opera.

Verso una storia dell'arte libera: la storia degli artisti.

Quel che Vasari inaugura non è la Storia dell'arte, ma la Storia dell'arte come Storia delle personalità artistiche. Da Vasari in avanti ogni opera sarà legata al suo creatore: Storia dell'arte e Storia degli artisti diventano una cosa sola. E dunque, è possibile pensare all'arte senza creatore? O meglio, per non perdersi nei corridoi stretti della discussione postmoderna sulla morte dell'autorialità6, è possibile pensare l'arte indipendentemente dall'artista? E soprattutto è possibile farlo in termini non esclusivamente estetico-filosofici o, come proposto in passato, collettivisti7?

Il committente


Il sistema di produzione premoderno è circolare. Prende avvio dal committente e sullo stesso ricade. Il committente decide a monte il tema, accorda con l'artista (o artigiano che dir si voglia) i colori, le figure principali, le dimensioni, e quant'altro. Conclusa l'opera il carico culturale e simbolico della stessa ricade sul committente. Il Committente è l'Opera. Spesso ne assume anche il nome, mentre l'eventuale firma dell'artista, sta a cesellare la bontà della bottega e dunque la qualità del manufatto. L'artista non c'è. È un artigiano che vive all'ombra della sua opera e l'opera a sua volta vive all'ombra del suo committente. L'opera tramite l'uso che il committente ne fa ha una presa effettiva nel mondo. Entra immediatamente nelle dinamiche culturali attraverso un carico simbolico forte che rimanda solo a se stesso. L'oggetto non c'è. In quanto Cosa non esiste. Esiste la Cosa in sé e chi a quella Cosa per diritto dà voce o omaggio.

L'arte scritta dagli artisti

La prima storia dell'arte è stata scritta da un artista. Vasari avvia definitivamente il processo di autolegittimazione degli artisti e istituzionalizza la scalata sociale e intellettuale per la valorizzazione del proprio mestiere. L'obiettivo finale è l'indipendenza della categoria. Ne troviamo traccia nella contrattualistica moderna legata alla Storia dell'arte e - ad evidenziare una cronaca che diventa mito - nella letteratura.

È una storia che corre nei secoli. A partire dal Medioevo italiano assistiamo ad una progressiva acquisizione di libertà da parte dell'artista che corrisponde al passaggio ad un sistema di produzione lineare, alla crescita del sistema stesso e alla progressiva scomparsa del cardine principale del precedente modello. Il cerchio chiuso sul committente, sotto le pressioni degli artisti, si apre sino a separare totalmente produzione e consumo. Il committente, perde per strada gran parte della sua influenza, sino a trasformasi in collezionista. Anche se la Storia del collezionismo meriterebbe un approfondimento specifico8, qua interessa evidenziare la progressiva riduzione dell'influenza del committente a monte del processo di produzione. Se il primo collezionismo ha una matrice essenzialmente archeologica ed è legato alla forte rivalutazione rinascimentale dell'antichità, con il passare del tempo, pur nelle maglie sfumate della storia, è possibile individuare lo sviluppo che porta alla libertà creativa dell'artista, alla nascita del sistema dell'arte che si frappone e alimenta i rapporti, il gusto e il senso stesso del sistema, alla scomparsa del committente e all'alba del collezionismo così come lo conosciamo noi oggi.


Artista e collezionista


Artista e collezionista sono i due poli del meccanismo che ne regola l'economia e i rispettivi ambiti di potere. Seppur incompleto ed eccessivamente secco, il sistema così disegnato ha il pregio di evidenziare l'autonomia del sistema stesso dal resto, e la corrispondenza esclusiva fra i due ambiti. Ciò che appare chiaramente è il doppio solipsismo in cui i due elementi sono chiusi, cioè l'elemento che diventa anche lo strumento di comunicazione fra i due: il linguaggio che condividono. È, appunto, la storia di un rapporto esclusivo.

L'iperbole

Più l'arte diventa libera, più si libera dalle pressioni del reale e più diventa iperbolica.



Specificazioni

Il rapporto esclusivo, l'oggetto e l'iperbole si reggono su una macchina solida. Fatta di parole, di testi, di critiche, di schieramenti, di commercio, di riproduzioni, di eventi.




Si potrebbe scrivere una storia del sistema dell'arte così com'è profilato oggi. Potrebbe aiutare a mettere in luce gli incastri, le reciproche influenze, il rapporto con le tecnologie e lo sviluppo sociale. La questione interessante ai fini di questo intervento è la sostanziale marginalità del pubblico. Qualcuno potrà obbiettare che non è più così, che le mostre sono fatte per il pubblico e le grandi biennali sono oggi frequentate da migliaia di visitatori. Proviamo però a pensarci bene. Prendiamo ad esempio l'apertura di una grande mostra. I primissimi ad essere invitati e a visitarla in esclusiva sono i grandi collezionisti privati o pubblici. A loro spetta il primo tocco. A seguire l'evento si apre agli addetti dell'arte. Cioè chi sta in mezzo ai due poli: riviste d'arte, curatori, critici, mercanti, collezionisti minori, altri artisti. Infine quando gli specialisti hanno concluso, i cancelli sono aperti anche per il grande pubblico. Allo schema bisognerebbe inoltre obiettare la sempre più evidente non estraneità dei musei al sistema di produzione. In tempi recenti è sempre più difficile distinguere l'azione di un museo, da quella di una galleria o quella di una istituzione privata. Il fatto sottolinea la propensione e la necessità del sistema ad inglobare nuove aree socioeconomiche e culturali.

E il curatore?

“Critico e curatore d'arte”. Molti dei miei colleghi hanno questa dicitura nell'incipit della propria biografia. A ben donde il curatore d'arte è visto come una costola del critico. Se il critico ha rafforzato la sua azione attraverso gli scritti e la conquista di spazi sempre maggiori grazie al raffinamento della stampa, la riproduzione di immagini e la fortuna della carta stampata, il curatore si impone attraverso la mostra e l'evento. Il suo ruolo è ancor più pubblico e si cristallizza in una spericolata operazione che tenta di mettere in comunicazione l'iperbole dell'arte con gli spettatori. In questo azzardo didattico, in parte antisistemico, epistemologicamente politico, abita il meglio della curatela contemporanea. A partire da questo punto bisognerebbe incominciare a tracciare una storia e a pesare le implicazioni.

1Il ricordo delle parole di Dino Formaggio nonché l'indicazione dell'intervento di Lawrence Wiener per Creative Time li devo alle lunghe conversazioni con Alessandro Nassiri.

2Sulla scorta degli studi di Juan Antonio Ramiréz credo che quella che oggi chiamiamo “arte contemporanea” sia da inscrivere nel più ampio ciclo della modernità.

3La demecanizzazione, cioè l'uscita definitiva dall'arte meccanica di Duchamp istituzionalizza un percorso che ha origine nel Rinascimento italiano. Paradossale come tale operazione avvenga in Duchamp attraverso la costruzioni di macchine. Questa doppia polarità è un buon punto di partenza per definire gli effettivi obiettivi dell'artista francese rispetto alla questione dell'oggetto.

4http://creativetime.org/programs/archive/2009/cttv/?p=141

5Braudel F., I tempi della Storia. Economia, società, civiltà. Dedalo, 1986

6Il riferimento è al testo di Roland Barthes, La mor de l'Autor, in Le bruissement de la langue, Seuil, 1984. Barthes inaugura con quello scritto una lunga discussione ancor oggi viva sulla morte dell'autore e l'autorialità collettiva.

7Mi sembra che per uscire dal dibattito collettivista sia interessa confrontarsi con la definizione di Genius di Giorgio Agamben. Lo studioso depersonalizza l'idea di genio spostando l'impersonalità dal gruppo all'ontologia dell'umano: “Comprendere la concezione dell'uomo implicita in Genius, significa capire che l'uomo non è soltanto Io e coscienza individuale, ma che dalla nascita alla morte egli convive piuttosto con un elemento impersonale e preindividuale.” Agamben, G., Profanazioni, nottetempo, 2005, pag. 9

8I testi di riferimento per un primo approccio alla storia del collezionismo sono il classico di Rudolf e Margot Wittkower, Nati sotto Saturno, Einaudi, 1968 e più specifico per l'area italiana il saggio di Cristina De Benedictis, Per la storia del collezionismo italiano, Fonti e documenti, Ponte alle Grazie, 1991

1 commenti:

Anonimo | 4/1/11 11:24 AM

Caro Denis, l'articolo è molto interessante in tutte le sue premesse; è denso, forse troppo: promette tanto ma finisce sul più bello... Mi permetto solo due noterelle.
1)Nella marcia gloriosa (infatti chi oggi la mette in discussione?) per l'emancipazione e autonomia dell'artista - da vile mechanico a professionista delle artri liberali - si nascondono non pochi paradossi. Uno fra tutti, oggi buona parte delle opere d'arte dei più acclamati artisti vengono materialmente prodotte da terzi: a differenza della bottega rinascimentale però, gli artigiani attuali (che scolpiscono un busto per Marc Quinn, per esempio)operano loro stessi tutte le scelte tecnico-estetiche, dall'inizio alla fine, per il semplice motivo che l'artista, sprovvisto di ogni competenza tecnica, non può dunque nemmeno "sorvegliare" la manovalanza specializzata secondo delle linee guida di una sua idea estetica (essenso questa inestricabilmente connessa a quella). (un sottoprodotto estetico di queste motivazioni di sociologia dell'arte è l'iperrealismo). In breve, mai come oggi, buona parte degli oggetti d'arte che ci circondano sono il frutto di scelte estetiche di artigiani, vili mechanici...
2)Quanto al curatore, penso che l'ovvio conflitto d'interessi del curatore-critico sia molto meno dannoso del paradossale presupposto del curatore-non critico (e sono in tanti che si definiscono oggi così) per cui non si sente in obbligo di argomentare criticamente (e pubblicamente)i propri giudizi (che tuttavia, evidentemente ci sono e informano le sue scelte curatoriali).
Quanto al pubblico...
Un saluto,
Luca B.

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