Pausa caffè. Da qualche tempo mi gira in testa questa canzone di Ascanio Celestini. Ho ascoltato più volte il testo e mi pare possa essere preso ad esempio di una dinamica già conclamata che riguarda la capacità generativa / distruttiva del linguaggio. La produzione di un racconto, cioè la caratteristica propria di ogni parola, diventa esplosiva rispetto al senso quando alleata alla ridondanza dei media. Da cui la composizione del nuovo campo da gioco: dalle disgrazie del simbolico, all'ascesa dei culturalismi e degli immaginari. La domanda di questa pausa è allora: come ci si comporta rispetto a questa insorgenza? Fare è ancora l'unica domanda?

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