16 luglio 2010



«Perché è antico, solo perché è antico. Anche il nome è 'Illiade'». Dice il cameriere. «Ma questo non è antico. E' finto». Il Ritrattista lo traduce con un po' di imbarazzo. «No, no, qua è pieno di cose vecchie. Vecchie, vecchie», risponde l'altro, «Vieni che ti faccio vedere» Andiamo verso il grande camino che sta come un altare al fondo della grande stanza. In mezzo c'è un guerriero africano in alluminio dorato, un elefante forse d'avorio, dei vasi, un arco di trionfo, delle macchine per macinare il caffè, delle statuine raffiguranti degli agricoltori, dei coltelli in miniatura, delle ceramiche di cagnolini. «Vedi, vedi tutto questo è antico». «Ahh... questo lo vendo io, l'ho portato io dalla Cina» dice questa volta orgoglioso il Ritrattista. Si tratta di un vaso con una forma un po' surrealista fatto con tre essenze di legno. Solo Mirò poteva far di meglio. «Per cortesia, chiedigli cosa ne pensa del fatto che il castello sia finto». Il Ritrattista traduce. «No, non ha nessuna opinione a proposito». Poi il cameriere prosegue: «solo per non dimenticare l'antico». Attenzione perché arriva la parte interessante. Il cameriere ci pensa un po', le mani sono sempre raccolte dietro la schiena, poi dice «perché tutti i bar sono moderni. Ci sono molti bar moderni, invece qua abbiamo l'antico». La questione della modernità non poteva essere più azzeccata. Chi vuole uscire dal modernismo, quali strade può percorrere? Questi maledetti pasticci postmoderni allora non sono forse un tentativo di rispondere a quell'esigenza? Poco prima stamani siamo passati per il corso principale di Tirana. Chi ha familiarità con una grande via fascista ritrova il suo paesaggio. Il razionalismo, il modernismo, sono fatti che arrivano dall'occidente. In questo tentativo di trovare un'ordine a questo pasticcio, non bisogna inoltre dimenticare che il 70% degli albanesi è mussulmano. Domani mi faccio portare nella moschea sulla piazza principale.



Il cameriere è un po' disorientato dalle domande. Incalza, facendomi capire che l'idea è buona e le cose vanno bene: «poi piace molto alla gente. L'altra settimana c'erano 50 turisti italiani. Ora con lo stesso stile costruiamo anche un albergo». «Vieni, vieni, vieni a vedere». Al piano superiore hanno smantellato la sala ristorante è stanno ristrutturando. Si intravede ciò che sarà: parti delle pareti sono coperte di legno scuro, mentre qua e là nelle stanze compare una blocco doccia in plastica di cui è facile immaginare getti, spruzzi, gorgoglii e quant'altro. Il Ritrattista mi dice con complicità: «idromassaggio...» Saliamo ancora le scale. Sul tetto c'è un mucchio di mattoni. Immagino che serviranno per il paramano che riveste il castello. «Vedi, vedi, tutto vecchio», «ma questi non sono vecchi dico io», «vecchio, vecchio» replica lui «Da dove arrivano?» dico io, «da una vecchia fabbrica che stava qua nei dintorni», «una vecchia fabbrica del periodo comunista?», «si, si, forse anche prima. «Guarda qua» dice mostrando delle ringhiere in ferro battuto. Sono ancora imbustate, come se fossero calde e appena uscite dal forno. Ma lui ripete: «guarda, guarda», le indica come testimoni di antichità. Io sono solo il Portaborse, ma alcune forse me le dovrebbero spiegare più a fondo.
Quando scendiamo le scale incontriamo il proprietario. Lui ha disegnato il castello insieme ad un suo amico architetto e costruttore. È una bella persona, delicata e sicura nei gesti. Porta dei jeans gialli e una maglietta con grandi strisce nere, gialli e azzurre. Parlano per qualche minuto con il Ritrattista. «Viene da una bellissima regione» mi dice con riferimento al Proprietario. Il Ritrattista è empatico, gli piace parlare della vita delle persone. Nulla da eccepire, ma ora vorrei provare a capire qualcosa di più. Pare che degli italiani abbiano rilasciato una certificazione di qualità a 5 Stelle per il Castello. Azzo. «Chi sono?». «Degli italiani che vivono in Svizzera» mi dice il proprietario. Sono venuti qua senza dire nulla, hanno mangiato e poi una volta verificati tutti gli standard di qualità hanno rilasciato una certificazione». «Per quanti soldi, chiedo io?» «3000 euro per tre anni». 1000 euro all'anno o se preferito 600 euro a Stella per tre anni.
L'Istituto Italiano Certificazione Qualità ha sede in Svizzera, in Italia a Torino, mentre il Cav. Dr. Gabriele Maria Migliaccio che cura il Sito ed è Direttore Commerciale dell'azienda, nonché, pare di capire, l'azienda stessa, risiede ad Agrigento, capitale della Grecia italiana. Lo trovate al 380 712 02 87 oppure lo potete disturbare al telefono in automobile al 335 640 74 78. Il suo sito comunque è piuttosto completo. Ad esempio informa su cosa sia una certificazione. "La Certificazione di qualità è l'atto mediante il quale una terza parte indipendente accreditata dichiara che, con ragionevole attendibilità, un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una specifica norma od altro documento normativo". Sulla targa lasciata al Castello 'Iliade' non c'era riferimento ad alcuna legge. Secondo quale 'norma' il Cavaliere rilascia la Certificazione? Ovvero che cosa vende se non l'identità che si è attribuito per diritto nascita? Abbiamo così capito che la Certificazione è una investitura nobiliare e quindi che il castellano aspira a diventare Re.

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