16 luglio 2010




La 'grande terrazza a qualche passa da qua' è uno dei posti più impressionanti che io abbia mai visto. Ci si accede attraverso un'ascensore in cui ci sono tre pulsanti, uno per il piano terra, una per la terrazza ed un terzo a chiave per un piano privato. Il Principe schiaccia terrazza e attraverso la parete trasparente alle nostre spalle incominciamo a scalare Tirana. Quando arriviamo in cima si apre alla nostra destra una sorta di giardino d'inverno, tondo con le pareti trasparenti e un tetto bianco anch'esso tondeggiante e pieno di stucchi. Saremo a 40, 50 metri da terra, da qua si vede la gran parte di Tirana, ma una volta girate le spalle, a ridosso del nostro naso, c'è un palazzo che si alza per altri 30 o 40 metri. Il paramano in mattone rosso con cui è rivestito fa a pugni con gli stucchi e le statue romane che da 60 metri guardano la città e soprattutto guardano noi che ora stiamo bevendo. Nel palazzo, che è l'ampliamento del bar-ristorante in cui siamo seduti, non ci sono ancora le finestre, ma in quei buchi riesco ad immaginare facilmente gli ambienti e le storie (dell'impero del male?). Un mix fra Tijuana e Montecarlo, qualcosa di strafottente, arrogante e maschilista, vicino all'amicizia fra Putin e Berlusconi o appunto, allo stereotipo della mafia russa. In verità i proprietari sono gli ex cuochi di Enver Hoxha. Caduto il regime, hanno deciso di vendere pezzi dell'aura che sino ad allora avevano custodito fra coltelli e cipolle e si sono messi in affari riscuotendo grande successo fra la nuova classe agiata e non solo. In ascensore durante la discesa ci tengono compagnia due coppie straniere, una è inglese, l'altra tedesca, saranno venuti anche loro a gustare le delizie della casa e a godere i resti della voglia di sovranità mai sopita. Forse sarebbe l'ora di rivalutare la nostra capacità di sognare. Se non ci fossero i sogni non ci sarebbero nemmeno gli incubi, no?

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